Intervista al Maestro Dario Garegnani

Dario Garegnani è stato scelto dai membri de La Filarmonica come direttore artistico, tra una serie di candidati che hanno avuto modo di dirigere per una prova la nostra formazione alla fine di novembre 2017, e ha iniziato il suo percorso con noi il 26 gennaio 2018. La redazione ha pensato a una serie di domande, una piccola intervista scritta che possa permettervi di conoscere il nostro nuovo Maestro.

Ti presenti brevemente al nostro, e ora anche tuo, pubblico? Come ti sei avvicinato alla musica?
Dario Garegnani, classe 1980, professione direttore d’orchestra, specializzato nel repertorio del ’900 e contemporaneo. Clarinettista di formazione strumentale, appassionato melomane, seconda laurea in Musicologia con una tesi in drammaturgia musicale. Dirigo dal 2004 orchestre ed ensemble in giro per l’Italia e l’Europa, ho diretto l’Orchestra della Fenice due volte, a Parigi finalista per il posto di Assistant Conductor di Pierre Boulez all’Intercontemporain nel 2009 e ho lavorato per moltissimi festival, dall’Italia all’Iran, dall’Argentina alla Svizzera. Ho fondato e dirigo l’ensemble Secret Theater, che ha sede a Cagliari e con cui produco teatro musicale e musica contemporanea. Se non ci fosse stato il Corpo Musicale Sedrianese a insegnarmi i primi rudimenti, da piccolo, non farei questo lavoro e questo è fuori da ogni dubbio, per me. Abito ad Abbiategrasso da un paio d’anni, e ho suonato nella Filarmonica da ragazzo, dal 1996 per qualche anno, quando ero ancora studente al conservatorio di Milano. Mentre scrivo queste righe sono al Teatro dell’Opera di Reggio Emilia per un’opera di Britten, pieno Novecento, domani ultima recita. Ma i curricula sono sempre piuttosto noiosi, credo.
Siamo d’accordo… Parliamo di musica e di banda: come vedi il presente e il futuro delle bande a livello di programmi?
Cerco di rispondere nel modo più articolato possibile. Dal mio punto di vista di direttore, l’Orchestra di fiati è un organismo che richiede grande cura e un percorso di educazione continua. Lasciamo stare per un attimo l’approccio rituale “non siamo tutti professionisti”: non c’entra. Ognuno dà il suo contributo per quel che può, ci si augura sempre con la miglior volontà e curiosità possibili; soprattutto un organismo di grandi dimensioni come La Filarmonica di oggi non è in nessun caso solo la somma algebrica di doti individuali, che pure naturalmente sono apprezzatissime: è molto di più. Una delle differenze più sostanziali sta nell’atteggiamento e nella consapevolezza di quel che si fa. Finché i membri di una formazione percepiscono il loro apporto come di bassa qualità, beh, c’è poco da fare: il pubblico percepirà immediatamente questa mancanza di rispetto per il proprio lavoro. E sono cose che si trasmettono a pelle, istantaneamente. Non ho mai capito esattamente perché mai tante persone che fanno ottimamente la loro parte e dedicano a realtà del genere tempo preziosissimo si deprimano da sole. Bisogna essere orgogliosi sempre di quel che si fa, specie se lo si fa da amatori. Non è una brutta parola: non è “NON professionalità”. È amore per quel che si fa in modo incondizionato, per pura liberalità e volontà. Ed è bello, e deve essere fonte di orgoglio.

Quali sono i generi musicali che preferisci e che vorresti esplorare con la banda? Cosa pensi delle interazioni tra la musica bandistica e altre arti, come il canto o il ballo?
Il repertorio per orchestra di fiati ha subito un’evoluzione impressionante negli ultimi anni, temo non sempre recepita. Sono cambiati gli organici, il modo di pensare a una formazione e al suo ruolo sociale. Le trascrizioni delle opere di grandi autori si sono fatte molto più interessanti, raffinate e degne dell’originale. Alcune sono opere d’arte, non sono delle trascrizioni fatte, come usava fino a qualche anno fa, per “rappresentare” un’opera senza troppo rispetto per i colori, l’orchestrazione, la filologia. Per non parlare della musica nuova, non solo di chi scrive professionalmente magnifici pezzi “didattici”, ma anche di autori della musica contemporanea considerata più “colta”. C’è ampia scelta, basta avere un po’ di coraggio e di fiducia. Che male c’è a buttarsi senza rete e studiare per qualche mese qualche linguaggio un po’ diverso dalle abitudini? Il rischio concreto, di cui molti hanno una paura dannata, è che alla fine, sotto sotto, poi ci si possa anche provare un po’ di gusto a uscire dalle abitudini. E questo vale anche per i repertori considerati più abituali: perché non prendersi il lusso, qualche volta, di osare una lettura un po’ diversa? Quindi ben vengano le altre arti, l’elettronica, la multimedialità. C’è molta più scelta di quanto si immagini, là fuori. Perché averne paura?

Qual è la tua idea sul ruolo artistico del direttore? È più un metronomo umano o un interprete?
Metronomo umano?! Potrei rispondere così a questa domanda e fare ancora questo lavoro?! E voi, verreste mai a fare quattro ore di prove serrate alla settimana con un metronomo umano?! Piuttosto, un coordinatore di volontà musicali eterogenee, questo magari sì. Il direttore dovrebbe trovare un equilibrio tra le idee musicali che ognuno, in modo non verbale, manifesta e coinvolgere tutti nel rispetto assoluto di quel che un compositore ha scritto. Ai compositori, anche morti da tempo, non servono molto i metronomi. Servono piuttosto visioni, immaginazione, libera e serena pluralità di interpretazioni, senza rigidità inutili.

Hai hobby o passioni al di fuori dalla musica? O la professione del musicista è totalizzante?
Trovo che questa sia forse la più interessante delle domande che mi avete posto, ma vorrei dire, se me lo permettete con un sorriso, che è anche inquietante. Sono perfettamente d’accordo sul fatto che la Musica intesa come professione sia e debba essere qualcosa di “vocazionale”, o almeno una volta si sarebbe detto così. Sono incuriosito dal fatto che ancora sopravviva l’immagine del musicista come recluso nella sua stessa passione: romanticissima, indubbiamente, esotica, ma totalmente fuorviante. Specie nel lavoro quotidiano di studio, quale mai potrebbe essere il nostro contributo senza altri stimoli, altre curiosità, altri punti di vista? La tecnica è fondamentale, lo studio e la passione sono alla base di tutto, ma non riuscirei a concepire una vita da musicista fatta solo di musica, non credo avrebbe senso. Quindi alla domanda rispondo: se non avessi altri interessi oltre alla musica forse non farei questo lavoro, o ne sarei vittima. Forse a quel punto preferirei smettere, e fare altro. Adoro l’arte del ’900 e la fotografia, mi piace cucinare e vorrei stare ad arrampicare in montagna almeno un giorno si e uno no. Per cominciare.

E così, per cominciare, siamo lieti di aver introdotto ai lettori il nostro nuovo direttore. Per conoscerlo meglio, appuntamento ai numerosi appuntamenti musicali di questa e delle prossime stagioni.

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